NUOVA AZIONE DI CASAPOUND: BABBI NATALE MORTI SIMBOLO DEL POPOLO STROZZATO DALLA CRISIUn Babbo Natale steso a terra, morto, posto al centro di una finta “scena del crimine”, con tanto di nastro segnaletico e sagoma disegnata a terra col gesso. E’ questo lo scenario dell’ultima azione di protesta simbolica messa in atto nella notte dai militanti di Casapound Italia in diverse città d’Italia. Attorno al Santa Claus assassinato sono stati disposti cartoncini con l’indicazione delle diverse “armi del delitto” con cui il sistema politico-bancario sta uccidendo il popolo italiano: affitti, caro vita, flessibilità, mutui, pensioni povere, precariato, retribuzioni basse.La protesta, che ha coinvolto centinaia di militanti di Casapound in tutta Italia, ha toccato circa quaranta città città tra cui: Roma, Milano, Bologna, Verona, Genova, Bolzano, Bari, Todi, Firenze, Torino, Sassari e molte altre. “Scopo della protesta è quello di rompere la retorica natalizia del “tutto va bene” – spiega Gianluca Iannone, responsabile nazionale di Casapound Italia – In una fase in cui si dispensano ipocritamente “consigli per gli acquisiti” di ogni genere e fattura, in un trionfo di quel regno della merce e del consumo che proprio in queste settimane entra in una crisi forse irreversibile, abbiamo simbolicamente mostrato l’immagine choc di un Babbo Natale cadavere proprio per sensibilizzare sul momento drammatico che sta vivendo il nostro popolo.Siamo stufi – continua Iannone – di leggere ovunque che ‘a Natale siamo tutti più buoni e che tutto va bene’. Non ci sembra, infatti, che in questo periodo banchieri e palazzinari siano diventati più ‘buoni’ ed i festeggiamenti stessi saranno soltanto un miraggio per migliaia di famiglie, di lavoratori e di pensionati sempre più stretti nella morsa della crisi provocata da un sistema manovrato dai soliti speculatori. Inoltre, proprio in questo momento economicamente difficile si stanno anzi chiedendo sacrifici solo e soltanto ai semplici cittadini. E questo – conclude il responsabile di Casapound Italia – è per noi intollerabile”.
venerdì 19 dicembre 2008
mercoledì 19 novembre 2008
...ma qualcuno aveva già previsto tutto:
Elogio del marmo di Adriano Scianca -
Di che è fatta l’italianità?
- L’italianità è marmo che vince la palude .
Era chiamato così, ai tempi della Rivoluzione francese, il centro del nuovo assetto politico post-rivoluzionario. Ovvero il segmento degli opportunisti, degli ignavi, dei vili, degli indecisi. La palude è, in effetti, il luogo in cui non è possibile la decisione. Sulla palude non si può edificare, nessun eroe fondatore può tracciare il solco primigenio e dare origine ad una nuova civiltà. Nella palude si affonda, perché è il luogo dell’informe, della mancanza di solidità, è ristagnare venefico di acquitrini melmosi che non hanno la durezza e la fecondità della terra né l’inquietante e grandiosa profondità del mare. La palude può però essere vinta dal lavoro e dalla volontà umana che, annientandola, edificano un mondo propriamente umano. Può essere redenta allorché lascia il posto al marmo. L’enorme, enigmatico monolito nero che fa la sua comparsa nel bellissimo incipit di 2001: A space odyssey mette bene in evidenza questo carattere “puramente umano”. Il monolito, squadrato, geometrico, ieratico si distingue immediatamente da tutto ciò che si trova intorno ad esso, dal paesaggio pietroso e desertico, ma anche dalle stesse scimmie, ancora semplicemente e totalmente immerse nella natura. Il monolito è opera umana e forse proprio in virtù di questa sua non-naturalità esso è in grado di trasformare per sempre l’esperienza del mondo propria delle scimmie, che da quel momento scoprono lo strumento-arma e tutto ciò che ne consegue: la tecnica, la caccia, il dominio, la potenza. «Il tempio, in quanto opera, dispone e raccoglie intorno a sé l’unità di quelle vie e di quei rapporti in cui nascita e morte, infelicità e fortuna, vittoria e sconfitta, sopravvivenza e rovina delineano la forma e il corso dell’essere umano nel suo destino […]. Eretto, l’edificio riposa sul suo basamento di roccia […]. Stando lì, l’opera tiene testa alla bufera che la investe, rivelandone la potenza. Lo splendore e la luminosità della pietra, che essa sembra ricevere in dono dal sole, fanno apparire la luce del giorno, l’immensità del cielo, l’oscurità della notte». Componendo questa evocativa descrizione, Martin Heidegger ci catapulta nel cuore di una civiltà, quella ellenica, che della luminosità e della durezza fece la sua ragion d’essere. Lo stesso termine “marmo”, del resto, deriva dal greco marmaros, con il significato di “pietra splendente”. La Grecia antica era in effetti ricca di cave di marmo, con numerose varietà pregiate di marmi bianchi (pentelico, tasio, nassio, pario). In quella terra, nel momento aurorale della civiltà europea, il marmo è lo sfondo a partire da cui si stagliano gli ierogrammi che danno corpo ad un linguaggio che dice di bellezza, disciplina, sapienza e gioventù. Un linguaggio che riecheggerà, e non con intenzioni innocenti, in pieno Novecento nella luminosa evocazione del Dorische Welt compiuta da Gottfried Benn . Quando dall’Ellade l’uso del marmo si trasferisce a Roma, esso va ad alimentare una cultura “monumentale”. “Monumento” deriva dal latino monère, “ricordare”. Cultura monumentale è quindi l’anelito tragico e grandioso di una civiltà che osa sfidare l’eternità, autocomprendendosi in un sogno imperiale di sovrumana grandezza. Questo sforzo grandioso, inconcepibile in ogni orizzonte piccolo-individualista, narcisista, umanistico e “democratico”, non è altro che l’estensione al livello dell’impresa collettiva di quell’etica dell’onore che prescriva come sommo bene la “gloria-che-non-muore”. È per questo che si fondano le città, si tracciano i solchi e si creano le civiltà: non per un borghese e burocratico “contratto sociale”, ma per darsi un destino. O, come dice la Bibbia quando lancia le sue invettive contro l’avventura storica dell’uomo: per farsi un nome. Ma l’impresa imperiale non può che essere un’avventura collettiva. Roma, quindi, è sempre e comunque res publica. «Repubblica / la cosa di tutti / fa pensare a marmo e acquedotti / a città romane / costruite da gente inventiva e capace / di ispirazione / una cosa da tutti», canta SFS. E non è forse un caso che quando la regista statunitense Julie Taymor vorrà ambientare, al di là di ogni tentazione di mimetismo realista, il Titus Andronicus di Shakespeare, non troverà altra ambientazione possibile che nell’architettura realmente “tragica”, perché ispirata a tragica grandezza, dell’Eur romano. Ne uscirà fuori quel gioiello incompreso che è Titus. L’Eur, in effetti, non è altro che la pietrificazione di un’idea. Il 21 aprile 1922, pochi mesi prima della presa della capitale, Mussolini dichiarava: «La Roma che noi onoriamo non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi, la Roma delle gloriose rovine […] ma soprattutto, la Roma che noi vagheggiamo e prepariamo è un’altra: non si tratta di pietre insigni ma di anime vive, non è contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione dell’avvenire». Concetti analoghi venivano espressi dall’architetto fascista Enrico Del Debbio: «Vorremo noi creare con forme nostre e sincere allo scopo, al tempo, al materiale, la Roma moderna […]. L’arte non è copia cristallizzata ma nuova creazione». L’immagine del mondo neo-romana scolpita nell’Eur, colpisce in effetti l’osservatore, soprattutto in confronto all’assenza di immagine dell’architettura “democratica”. Fanno riflettere, a tal proposito le osservazioni che Ugo Ojetti, giornalista e critico d’arte, annota nel suo diario dopo aver ascoltato dalla bocca del Duce i futuri progetti del fascismo per Roma: «Tra cinque, tra dieci, tra quindici anni […]. I ministri di una volta non potevano dire nemmeno tra un mese», scrive. C’è, in quei marmi bianchi squadrati, in quello forme “doriche”, un progettualità epocale sconosciuta alla posterità antifascista. Come osserva lo storico Emilio Gentile: «Il fascismo ebbe il culto della monumentalità come espressione collettiva di una civiltà che vuole lasciare la sua impronta nella storia sfidando il tempo, conferendole per questo un significato simbolico e sacrale». Cosa che comporterà la massima costernazione dello storico dell’arte francese Louis Gillet che, in visita alla Mostra della Rivoluzione, esclamerà, non senza una certa nostalgia per il paese della pizza e del mandolino: «E’ questa ancora Italia? E’ questa la terra dei sorrisi, del sole e della bellezza?». È la vecchia nostalgia per l’Italia serva ma simpatica, per il chiaro di luna e la torre di Pisa, con «gente in costume da bagno e occhiali di plastica, gente che si abboffa di pasta ma poi fa ginnastica, che vuole bene alla mamma e quando segna la nazionale va in crisi mistica», come canta ancora SFS. Ma ha ragione Gillet. Quella cui lui aveva avuto la fortuna di assistere era un’altra Italia e un’altra Roma. Era la Roma nuova così descritta dal senatore Vittorio Cini: «Chi venendo da Roma o dal mare si affaccerà dalla via dell’Impero […] vedrà aprirsi, fra candidi marmi e travertini dorati, la città nuova, viva d’acque e di verde; una città degna di stare accanto all’antica, ma con questo i più: che essa, nella sua cornice di severa e potente architettura, sarà atta ad accogliere la multianime, dinamica vita d’oggi e di domani». Come marmo che vince la palude.
Elogio del marmo di Adriano Scianca -
Di che è fatta l’italianità?
- L’italianità è marmo che vince la palude .
Era chiamato così, ai tempi della Rivoluzione francese, il centro del nuovo assetto politico post-rivoluzionario. Ovvero il segmento degli opportunisti, degli ignavi, dei vili, degli indecisi. La palude è, in effetti, il luogo in cui non è possibile la decisione. Sulla palude non si può edificare, nessun eroe fondatore può tracciare il solco primigenio e dare origine ad una nuova civiltà. Nella palude si affonda, perché è il luogo dell’informe, della mancanza di solidità, è ristagnare venefico di acquitrini melmosi che non hanno la durezza e la fecondità della terra né l’inquietante e grandiosa profondità del mare. La palude può però essere vinta dal lavoro e dalla volontà umana che, annientandola, edificano un mondo propriamente umano. Può essere redenta allorché lascia il posto al marmo. L’enorme, enigmatico monolito nero che fa la sua comparsa nel bellissimo incipit di 2001: A space odyssey mette bene in evidenza questo carattere “puramente umano”. Il monolito, squadrato, geometrico, ieratico si distingue immediatamente da tutto ciò che si trova intorno ad esso, dal paesaggio pietroso e desertico, ma anche dalle stesse scimmie, ancora semplicemente e totalmente immerse nella natura. Il monolito è opera umana e forse proprio in virtù di questa sua non-naturalità esso è in grado di trasformare per sempre l’esperienza del mondo propria delle scimmie, che da quel momento scoprono lo strumento-arma e tutto ciò che ne consegue: la tecnica, la caccia, il dominio, la potenza. «Il tempio, in quanto opera, dispone e raccoglie intorno a sé l’unità di quelle vie e di quei rapporti in cui nascita e morte, infelicità e fortuna, vittoria e sconfitta, sopravvivenza e rovina delineano la forma e il corso dell’essere umano nel suo destino […]. Eretto, l’edificio riposa sul suo basamento di roccia […]. Stando lì, l’opera tiene testa alla bufera che la investe, rivelandone la potenza. Lo splendore e la luminosità della pietra, che essa sembra ricevere in dono dal sole, fanno apparire la luce del giorno, l’immensità del cielo, l’oscurità della notte». Componendo questa evocativa descrizione, Martin Heidegger ci catapulta nel cuore di una civiltà, quella ellenica, che della luminosità e della durezza fece la sua ragion d’essere. Lo stesso termine “marmo”, del resto, deriva dal greco marmaros, con il significato di “pietra splendente”. La Grecia antica era in effetti ricca di cave di marmo, con numerose varietà pregiate di marmi bianchi (pentelico, tasio, nassio, pario). In quella terra, nel momento aurorale della civiltà europea, il marmo è lo sfondo a partire da cui si stagliano gli ierogrammi che danno corpo ad un linguaggio che dice di bellezza, disciplina, sapienza e gioventù. Un linguaggio che riecheggerà, e non con intenzioni innocenti, in pieno Novecento nella luminosa evocazione del Dorische Welt compiuta da Gottfried Benn . Quando dall’Ellade l’uso del marmo si trasferisce a Roma, esso va ad alimentare una cultura “monumentale”. “Monumento” deriva dal latino monère, “ricordare”. Cultura monumentale è quindi l’anelito tragico e grandioso di una civiltà che osa sfidare l’eternità, autocomprendendosi in un sogno imperiale di sovrumana grandezza. Questo sforzo grandioso, inconcepibile in ogni orizzonte piccolo-individualista, narcisista, umanistico e “democratico”, non è altro che l’estensione al livello dell’impresa collettiva di quell’etica dell’onore che prescriva come sommo bene la “gloria-che-non-muore”. È per questo che si fondano le città, si tracciano i solchi e si creano le civiltà: non per un borghese e burocratico “contratto sociale”, ma per darsi un destino. O, come dice la Bibbia quando lancia le sue invettive contro l’avventura storica dell’uomo: per farsi un nome. Ma l’impresa imperiale non può che essere un’avventura collettiva. Roma, quindi, è sempre e comunque res publica. «Repubblica / la cosa di tutti / fa pensare a marmo e acquedotti / a città romane / costruite da gente inventiva e capace / di ispirazione / una cosa da tutti», canta SFS. E non è forse un caso che quando la regista statunitense Julie Taymor vorrà ambientare, al di là di ogni tentazione di mimetismo realista, il Titus Andronicus di Shakespeare, non troverà altra ambientazione possibile che nell’architettura realmente “tragica”, perché ispirata a tragica grandezza, dell’Eur romano. Ne uscirà fuori quel gioiello incompreso che è Titus. L’Eur, in effetti, non è altro che la pietrificazione di un’idea. Il 21 aprile 1922, pochi mesi prima della presa della capitale, Mussolini dichiarava: «La Roma che noi onoriamo non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi, la Roma delle gloriose rovine […] ma soprattutto, la Roma che noi vagheggiamo e prepariamo è un’altra: non si tratta di pietre insigni ma di anime vive, non è contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione dell’avvenire». Concetti analoghi venivano espressi dall’architetto fascista Enrico Del Debbio: «Vorremo noi creare con forme nostre e sincere allo scopo, al tempo, al materiale, la Roma moderna […]. L’arte non è copia cristallizzata ma nuova creazione». L’immagine del mondo neo-romana scolpita nell’Eur, colpisce in effetti l’osservatore, soprattutto in confronto all’assenza di immagine dell’architettura “democratica”. Fanno riflettere, a tal proposito le osservazioni che Ugo Ojetti, giornalista e critico d’arte, annota nel suo diario dopo aver ascoltato dalla bocca del Duce i futuri progetti del fascismo per Roma: «Tra cinque, tra dieci, tra quindici anni […]. I ministri di una volta non potevano dire nemmeno tra un mese», scrive. C’è, in quei marmi bianchi squadrati, in quello forme “doriche”, un progettualità epocale sconosciuta alla posterità antifascista. Come osserva lo storico Emilio Gentile: «Il fascismo ebbe il culto della monumentalità come espressione collettiva di una civiltà che vuole lasciare la sua impronta nella storia sfidando il tempo, conferendole per questo un significato simbolico e sacrale». Cosa che comporterà la massima costernazione dello storico dell’arte francese Louis Gillet che, in visita alla Mostra della Rivoluzione, esclamerà, non senza una certa nostalgia per il paese della pizza e del mandolino: «E’ questa ancora Italia? E’ questa la terra dei sorrisi, del sole e della bellezza?». È la vecchia nostalgia per l’Italia serva ma simpatica, per il chiaro di luna e la torre di Pisa, con «gente in costume da bagno e occhiali di plastica, gente che si abboffa di pasta ma poi fa ginnastica, che vuole bene alla mamma e quando segna la nazionale va in crisi mistica», come canta ancora SFS. Ma ha ragione Gillet. Quella cui lui aveva avuto la fortuna di assistere era un’altra Italia e un’altra Roma. Era la Roma nuova così descritta dal senatore Vittorio Cini: «Chi venendo da Roma o dal mare si affaccerà dalla via dell’Impero […] vedrà aprirsi, fra candidi marmi e travertini dorati, la città nuova, viva d’acque e di verde; una città degna di stare accanto all’antica, ma con questo i più: che essa, nella sua cornice di severa e potente architettura, sarà atta ad accogliere la multianime, dinamica vita d’oggi e di domani». Come marmo che vince la palude.
mercoledì 5 novembre 2008
Questa è la realtà dei fatti......
Questa è la realtà e situazione. Oggi in Italia, finalmente è iniziato con volontà, il repulisti e resa dei conti di 60 anni di casta rossa. Dai ministeri, alle scuole,nella stampa e giornalismo in generale, nei tribunali, nelle piazze ormai non solo "rosse", la gente s'è letteralmente rotta le scatole di nepotismi,favori e quant'altro.Campano ancora su sto maledetto antifascismo di comodo, che maschera la vera dittatura, cioè quella rossa.A P.zza Navona volevano con prepotenza e forza riprendersi spazio in una piazza ormai stanca di loro e con il solito 300 contro 10, hanno dato il meglio di loro. Puntualmente tutti gli organi collusi con la celata ed autorizzata dittatura gli ha parato il culo e messo sulla gogna chi ha avuto il coraggio di contestarli ed affrontarli.
Nelle scuole, al di là delle riforme discutibili o meno, il problema più grosso è stato quello di andare a toccare equilibri e fondi, dove i parassiti figli e nipoti dei partigiani e soprattutto 68ini che credono nell'immortalità,hanno sguazzato fino ad oggi.
Nei ministeri ed uffici pubblici, dove i sindacalisti e compagni d'occorrenza(poichè hanno ormai una vita di benessere e privilegi), gli si toccano gli assenteismi, la meritocrazia(che non gli appartiene),fondi deviati misteriosamente da qualche parte, di terrorismo mediatico e squadristi rossi dell'informazione, di fronte alla tecnologia proposta con video sputtananti dall'altra parte, sono diventati incredibili scalatori ed arrampicatori di specchi.
Ora l'ultima perla, l'innocente servizio a CHI L'HA VISTO?, che di per se è un programma di merda e non si capisce perchè molti format li eliminano e questo invece no,con la complicità innocente della conduttrice, manda alla gogna stile Commissario Politico Comunista, video anche a rallentatore con i volti dei nostri ragazzi. Anche un bambino di due anni capirebbe che "quello è il cattivo e non bisogna accettare caramelle da lui", capirebbe che" quello va riconosciuto subito e urlare al lupo" come si conviene con i mostri. Invece quel messaggio subliminale dei compagni un po cresciutelli, è la caccia al fascio.
Beh direi estremamente grave sfruttare un programma in una rete dove si paga il canone, è estremamente grave che un programma che cerca persone scomparse, invece apre la caccia a giovani di vent'anni che rifiutano l'ideale e comportamento della giornalista in questione.E' estremamente grave che in un programma del genere, si metta una taglia virtuale sulle teste dei giovani. Io chiuderei il programma o licenzierei la conduttrice e autori, per tentata strage, perchè di tale si tratta. Senza titolo e diritto, hanno messo in pericolo la vita dei ragazzi, alimentando odio e violenza, ma tanto si sà, loro invece prendono contratti per centinaia di migliaia di euro a programma, loro quest'estate a Capalbio o in Sardegna si vanteranno della loro repressione al problema.
Allora, come dice Gabriele Adinolfi, ATTENZIONE CHE QUESTI CERCANO IL MORTO E LA SCINTILLA PER TORNARE NELLA LORO MELMA E RIFARE UN 68 CON ALTRO ESITO, LEGALIZZANDO LA CACCIA AL FASCIO NEMICO DI QUESTA NAZIONE.I veri nemici sono loro, che ci hanno martellato i coglioni con le loro propagande e poca voglia di cambiare, loro che ci hanno schiacciato all'angolo monopolizzando piazze e posti chiave, loro che silenziosamente con le BR, con gli attentati, con le loro caste, ci hanno sistematicamente segato le gambe ed imposto la loro ideologia e subcultura.
IO ME NE FREGO!
Nelle scuole, al di là delle riforme discutibili o meno, il problema più grosso è stato quello di andare a toccare equilibri e fondi, dove i parassiti figli e nipoti dei partigiani e soprattutto 68ini che credono nell'immortalità,hanno sguazzato fino ad oggi.
Nei ministeri ed uffici pubblici, dove i sindacalisti e compagni d'occorrenza(poichè hanno ormai una vita di benessere e privilegi), gli si toccano gli assenteismi, la meritocrazia(che non gli appartiene),fondi deviati misteriosamente da qualche parte, di terrorismo mediatico e squadristi rossi dell'informazione, di fronte alla tecnologia proposta con video sputtananti dall'altra parte, sono diventati incredibili scalatori ed arrampicatori di specchi.
Ora l'ultima perla, l'innocente servizio a CHI L'HA VISTO?, che di per se è un programma di merda e non si capisce perchè molti format li eliminano e questo invece no,con la complicità innocente della conduttrice, manda alla gogna stile Commissario Politico Comunista, video anche a rallentatore con i volti dei nostri ragazzi. Anche un bambino di due anni capirebbe che "quello è il cattivo e non bisogna accettare caramelle da lui", capirebbe che" quello va riconosciuto subito e urlare al lupo" come si conviene con i mostri. Invece quel messaggio subliminale dei compagni un po cresciutelli, è la caccia al fascio.
Beh direi estremamente grave sfruttare un programma in una rete dove si paga il canone, è estremamente grave che un programma che cerca persone scomparse, invece apre la caccia a giovani di vent'anni che rifiutano l'ideale e comportamento della giornalista in questione.E' estremamente grave che in un programma del genere, si metta una taglia virtuale sulle teste dei giovani. Io chiuderei il programma o licenzierei la conduttrice e autori, per tentata strage, perchè di tale si tratta. Senza titolo e diritto, hanno messo in pericolo la vita dei ragazzi, alimentando odio e violenza, ma tanto si sà, loro invece prendono contratti per centinaia di migliaia di euro a programma, loro quest'estate a Capalbio o in Sardegna si vanteranno della loro repressione al problema.
Allora, come dice Gabriele Adinolfi, ATTENZIONE CHE QUESTI CERCANO IL MORTO E LA SCINTILLA PER TORNARE NELLA LORO MELMA E RIFARE UN 68 CON ALTRO ESITO, LEGALIZZANDO LA CACCIA AL FASCIO NEMICO DI QUESTA NAZIONE.I veri nemici sono loro, che ci hanno martellato i coglioni con le loro propagande e poca voglia di cambiare, loro che ci hanno schiacciato all'angolo monopolizzando piazze e posti chiave, loro che silenziosamente con le BR, con gli attentati, con le loro caste, ci hanno sistematicamente segato le gambe ed imposto la loro ideologia e subcultura.
IO ME NE FREGO!
Vogliono il morto. Ognuno di noi può impedirlo
Fate circolare ovunque, fino alla nausea!www.noreporter.orgVogliono il morto! Che a volerlo siano i “rivoluzionari” frustrati dalla perdita di ogni consenso e addestrati dai loro seminari politici all'eliminazione degli avversari è quasi normale. Non è normale, non è usuale, non è ammissibile, non accadeva neppure negli Anni Settanta, quello che alcuni fiancheggiatori, protettori e complici dei frustrati dei Centri Sociali e di Rifondazione stanno oggi facendo. Non è accettabile che escano articoli compiacenti con i facinorosi, gli aggressori, i mazzieri stipendiati dai partiti, che alcune testate nazionali (Corriere della sera, Repubblica) hanno pubblicato. Non è immaginabile che si lascino esporre all'università liste di proscrizione con nomi e foto degli obiettivi da colpire, com'è accaduto lunedì mattina. E questo all'indomani di una prima serie di aggressioni commesse in Italia condite dall'improvviso apparire di attentati vari su obiettivi diversi. Uno scenario fosco che si ripete. Permettere tutto questo significa, esattamente come trentacinque anni fa, alimentare la spirale anziché interromperla. Non è perdonabile che, trentacinque anni dopo, per un calcolo politicante da quattro soldi, ci sia chi, come Di Pietro, ripercorre la strada di Giacomo Mancini ammiccando a quelli che “uccidere un fascista non è reato”. Mancini se ne pentì, ma era troppo tardi. Di Pietro magari se ne pentirà anche lui ma già adesso non ha scuse perché egli ha davanti agli occhi il precedente del sangue che scorse a fiumi a causa della copertura politica al nascente terrorismo che il dirigente socialista di allora, come l'idv di oggi, non aveva saputo - o voluto - vedere. Gravissimo; ma paradossalmente nella gravità siamo già andati oltre. Alla Rai nella serata di ieri è stato mandato in onda un filmato forse fornito proprio dal Blocco Studentesco e sono stati incredibilmente fissati dei fermo-immagine su studenti del Blocco Studentesco con la richiesta: “Sapete chi sono? Come si chiamano? Dove abitano?”. Poiché il Blocco che non ha niente da nascondere ha fornito molti filmati ai media, e poiché i volti e i nomi di ragazzi che fanno politica e chiedono regolari permessi sono noti alla polizia, quest'appello non può avere altro effetto se non quello di scaldare gli animi di chi già viene aizzato sul terreno incosciente dell'antifascismo militante dalla segreteria di un partito che non ha più alcun argomento politico e non avrà altra conseguenza se non quella di far capire a chi partecipa alla caccia all'uomo che gode di una copertura articolata e diffusa. Se non li si ferma subito non tarderanno ad assassinare! Certo, come primo atto sarà denunciato legalmente chi usa la televisione come uno strumento personale e mette a rischio l'incolumità degli studenti, ma non basta. Urge una presa di posizione ferma da parte dei giornalisti e sono indispensabili le interrogazioni parlamentari. Trentacinque anni fa si preferì lasciar divampare l'incendio ma stavolta, per fortuna, non ci sono solo piromani. Ma un pompere che dorme diventa incendiario a sua volta. Non si sottovaluti il pericolo e non si frappongano indugi! Neutralizziamo i mandanti e facciamolo subito!
Gabriele Adinolfi
Gabriele Adinolfi
giovedì 30 ottobre 2008
E' giunta la resa dei conti con la verità
Oggi a 38 anni, come la generazione dei miei genitori, come la nuova generazione di Piazza Navona, vengono a galla decenni di infamia.
Un ministro nano alto 1 metro e 20,Brunetta, ha la forza di davide contro Golia, dove Golia è il risultato dei favori e privilegi dei reduci partigiani, dei loro figli e dei figli dei figli più gli emulatori.
Dall'impiego statale, dai sindacati,dalle scuole, dalle università, con le nuove riforme(discutibili) il nocciolo è uno, vengono messi alla luce decenni di sottobosco e loschi affari della sinistra italiana.
Dai controlli ai posti di lavoro, dall'inutilità delle attività sindacali, dai ritocchi ad una scuola ormai stanca e becera piena di orgoglio 68ino.
La verità è una, si sono accorti che chi non la pensa come loro, ha la stessa necessità e voglia di comunicare e manifestare in piazza, c'è voglia di produttività e poche parole, c'è voglia di fare senza essere manipolati e boicottati continuamente.
Ieri dopo i fatti di piazza Navona, si vedono nettamente gli schieramenti più interessati:
-Giornalisti
-Professori e luminari del 68
-Studenti ormai 30/40enni di sinistra
-sciacalli dediti allo spettacolo
-Forze dell'ordine ormai inermi contro i baroni del potere
Il tutto prontamente preparato ad arte per ribadire una supremazia ormai persa.
Aggiungiamo anche Grillo.
Un ministro nano alto 1 metro e 20,Brunetta, ha la forza di davide contro Golia, dove Golia è il risultato dei favori e privilegi dei reduci partigiani, dei loro figli e dei figli dei figli più gli emulatori.
Dall'impiego statale, dai sindacati,dalle scuole, dalle università, con le nuove riforme(discutibili) il nocciolo è uno, vengono messi alla luce decenni di sottobosco e loschi affari della sinistra italiana.
Dai controlli ai posti di lavoro, dall'inutilità delle attività sindacali, dai ritocchi ad una scuola ormai stanca e becera piena di orgoglio 68ino.
La verità è una, si sono accorti che chi non la pensa come loro, ha la stessa necessità e voglia di comunicare e manifestare in piazza, c'è voglia di produttività e poche parole, c'è voglia di fare senza essere manipolati e boicottati continuamente.
Ieri dopo i fatti di piazza Navona, si vedono nettamente gli schieramenti più interessati:
-Giornalisti
-Professori e luminari del 68
-Studenti ormai 30/40enni di sinistra
-sciacalli dediti allo spettacolo
-Forze dell'ordine ormai inermi contro i baroni del potere
Il tutto prontamente preparato ad arte per ribadire una supremazia ormai persa.
Aggiungiamo anche Grillo.
Tutti ai posti di combattimento!
Forse non tutti hanno colto la portata e l'importanza di quanto si sta svolgendo intorno all'aggressione degli studenti ieri a Piazza Navona da parte dei vigilantes di Rifondazione Comunista.Sono in gioco - disperatamente - tutte le certezze del vecchio regime.- Si vuol far credere che gli studenti e tutte le fasce sociali che protestano stiano a sinistra, che non è vero.- Si vuol far credere che gli studenti e tutte le fasce sociali che protestano siano schierate con Draghi contro Berlusconi, che non è vero- Si vuol far credere che i fascisti siano violenti, che non è vero, non tanto al fine di criminalizzarli quanto a quello di riapplicare il metodo degli anni 60 di spezzettare il fronte non marxista per indebolirlo- Si vuol far credere che le vecchie cariatidi stipendiate da fondi pubblici che giocano a fare i "rivoluzionari" siano ancora rappresentanti del movimento e interpreti dell'attualità, che non è vero.L'operazione di Piazza Navona (edizione rovesciata della spedizione della Sapienza di 40 anni fa) è stata orchestrata a tavolino e gode dell'utilizzo militante, anzi militare, di apparati di disinformazione.Bisogna assolutamente essere all'altezza dei tempi e non rispondere con i riflessi condizionati.Abbiamo dalla nostra:- I filmati integrali che dimostrano inequivocabilmente quello che è successo- L'opinione pubblica diretta (ovvero gli studenti e i residenti in Piazza Navona)- La ricostruzione dei fatti da parte della Questura.Rispetto agli anni che si vorrebbero riproporre ci sono delle differenze essenziali che dobbiamo capitalizzare- La tecnica che consente di documentare la realtà e di far circolare i documenti che neutralizzano la disinformazione- Il ruolo politico: oggi siamo parte politica attiva nella società e nel movimento di cui rischiamo di essere maggioritariNon ragioniamo allora con vittimismi da ghetto accerchiato!Bisogna agire, tutti, ogni istante. La battaglia della verità ha, oggi, un valore politico incommensurabile.Tutti ai posti di combattimento!
sabato 6 settembre 2008
Attentato al Circolo Futurista Casal Bertone
'Ecco i frutti avvelenati dell'odio di Russo Spena e compagni' Così Gianluca Iannone, presidente di Casa Pound Italia, sull'attentato che, ieri notte, con l'apposizione di un ordigno incendiario ad alto potenziale, ha gravemente danneggiato la sede del Circolo Futurista Casalbertone. 'Dopo la conclusione fallimentare del loro periodo di governo, dopo aver deluso le aspettative di lavoratori, precari, giovani, studenti ed anziani, dopo aver ricevuto una sonora bocciatura dal popolo, si aggrappano disperatamente al vecchio caposaldo dell'antifascismo, ricollegando strumentalmente fatti di sangue che con la politica centrano poco e nulla, all'attività di tutte quelle centinaia di ragazzi che, privi di un feroce indottrinamento e scevri da clientelari condizionamenti politici, si impegnano ognni giorno e senza alcuna contropartita' Continua Iannone 'Indefinibili sono le parole della madre di Renato Biagetti, la quale si permette di collegare fatti di strada con l'esperienza delle occupazioni non conformi e di quelle a scopo abitativo, colpevoli sono le parole di tutti coloro che soffiano sul fuoco dell'antifascismo; loro sono i mandanti morali di questo attacco che avrebbe potuto costare la vita a ragazzi e privati cittadini residenti nello stabile, dato che le fiamme sono arrivate al primo piano del palazzo' Conclude Mauro Antonini, responsabile del circolo augurandosi che 'la stessa solidarietà mostrata nei confronti del giovane aggredito pochi giorni fa a San Paolo, venga ora espressa dal Sindaco nei nostri confronti e nei confronti di tutti gli abitanti che hanno vissuto una notte di terrore'.
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